Far East Film Festival: non più solo un festival

Si è conclusa sabato notte la diciottesima edizione del Far East Film Festival, dopo nove giorni carichi di appuntamenti per gli appassionati di cinema popolare proveniente dall’estremo oriente. Ad aggiudicarsi l’Audience Award quest’anno è stato “A Melody To Remember” del coreano Lee Han, seguito da “Sori: Voice From the Heart” di Lee Ho-jae e da “Mohican Comes Home” di Hokita Shuichi, che ha ottenuto anche il Black Dragon Award.

Per festeggiare un compleanno così importante il FEFF ha superato se stesso: più di cinquanta pellicole in gara, una monografia di classici restaurati, una dedicata alla fantascienza nel cinema giapponese, il progetto China Now per il cinema indipendente cinese, la sezione documentari e quella cortometraggi, per un totale di 77 proiezioni, tra cui moltissime premiere europee e mondiali. Anche quest’anno viene confermata la presenza di “nuovi paesi” come Filippine, Malesia, Vietnam, trasformando l’evento in una vetrina completa su tutto il cinema proveniente dall’estremo oriente.

La Cina presenta 12 film in gara, ben 11 sono le pellicole provenienti da Hong Kong e 2 per Taiwan. Ad accompagnare la proiezione gli appuntamenti mattutini di interviste ai protagonisti: attori, registi, produttori si confrontano con il pubblico. Come se tutto questo non bastasse la città di Udine mette a disposizione una varietà di spazi per accogliere eventi di ogni genere, dal taiqi alle degustazioni di cibo orientale, dai massaggi ai videogames, fino al cosplay contest. Non c’è che dire: il Far East Film Festival si conferma un evento che è ormai uscito dai classici spazi cari ai cinefili, per abbracciare tutta la realtà locale.

Interessata soprattutto al cinema del mainland China, non ho potuto fare a meno di notare che il drama in costume e i wuxia movies hanno lasciato spazio ad una maggiore varietà di generi: dal noir “The Dead End”(di Cao Baoping) al “tearjacker melodrama” Mountain Cry (Larry Yang), dalla commedia on the road “Lost In Hong Kong” (Xu Zheng) all’action-fantasy “Mojin: The Lost Legend” (Wuershan), senza dimenticare il film d’azione “Chongqing Hot Pot” (Yang Qing), il drama giovanile “Young Love Lost” (Xiang Guoqiang), il Kungfu movie “The Final Master” (Xu haofeng), l’action-thriller “Saving Mr Wu” (Ding Sheng) e il dramma umano “Destiny” (Zhang Wei).

Questa varietà riflette probabilmente il panorama cinematografico nel mainland china: il 2015 è stato un anno di primati sotto tutti i punti di vista per il cinema cinese, soprattutto in termini di aumento di spettatori e di incassi ai botteghini. L’aumento degli incassi e dei finanziamenti nel settore, anche grazie alle politiche di sostegno e sviluppo della cultura volute dal partito, permettono nuove sperimentazioni e in generale una qualità più alta.

La varietà dei generi è inoltre indice di un cambiamento di gusti nel pubblico: oltre alle super-produzioni come “Mojin: the lost legend”, un colossal di avventura e fantasia definito un misto cinese tra ”Indiana Jones” e “Tomb raider”, molte sono le commedie, i drama, i noir che hanno registrato ottimi incassi in patria e che sono arrivati fino al festival. Durante un Free Talk Johnnie To, regista e produttore leggendario di Hong Kong, ha parlato della necessità di usare i capitali per creare film che “educhino il pubblico” cinese, soprattutto quello mainland e sembra che si stia andando proprio verso questa direzione.

https://www.youtube.com/watch?v=DBXfYbbUVoc

Un’altra interessantissima chiacchierata ha visto protagonista Cao Baoping, alla sua terza volta al FEFF con il noir The Dead End. Il regista ha spiegato la sua personale scelta di usare dei generi che adottino un linguaggio comprensibile all’audience per trattare problemi legati alla società cinese contemporanea, in modo da coniugare il fine “didattico” auspicato anche da Johnnie To con i gusti popolari. In conclusione le Free Talk si confermano momenti preziosi di condivisione di contenuti e di nuovi spunti di riflessione sul cinema asiatico.

All’interno del calendario del festival, per la prima volta è stata inserita una tappa del China Now Project, un tour mondiale, organizzato dall’associazione Cinema on the edge, che propone screenings di film indipendenti provenienti dal mainland China. Si tratta dei lavori di giovani cineasti, non ancora arrivati ai festival internazionali e che non vengono diffusi in Cina, soprattutto ora che sono stati proibiti tutti i festival cinematografici del genere. È nata quindi l’esigenza di dare spazio a questi giovani cineasti all’estero, nel tentativo di mettere sullo schermo tutta la complessa e sfaccettata realtà contemporanea del paese, un obiettivo che la produzione mainstream, seppure più diversificata per contenuti e generi, non riesce assolutamente a portare a termine. Proiettati sullo schermo del teatro il documentario “Cut out the eyes” di Xu Tong e il drama “Egg and stone” di Huang Ji, anticipati da due corti di Ding Shiwei e Zhong Su.

L’importanza del Far East Film Festival per gli amanti del genere è indubbia, un evento che rivendica un ruolo di primo piano non solo come occasione di diffusione di film altrimenti difficilmente reperibili, ma anche come luogo di incontri, scambi, focus cinematografici su realtà altrimenti poco conosciute. In questo senso mi auguro che il progetto FEFF Industry/Focus Asia, in collaborazione con il Ministero della Cultura e del neonato MIA (Mercato Internazionale dell’Audiovisivo), possa contribuire ad una maggiore distribuzione del cinema popolare asiatico qui in Italia, un tipo di cinema che ormai può entrare a pieno diritto nelle nostre sale cinematografiche.

 

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